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Professioniste e professioniste
Da che mondo è mondo, in ogni campo lavorativo, ci sono professioniste e professioniste, ed è così anche per l’ambito del babywearing. Le generalizzazioni non mi piacciono mai, perché sono basate su preconcetti e pregiudizi, senza troppo fondamento. Ecco perché oggi ho deciso di sfatare 3 falsi miti sulle professioniste del babywearing.
Come sai se mi segui già, ho maturato molta esperienza in questo settore, tanto da diventare a mia volta formatrice (scopri i miei percorsi per le professioniste) di consulenti babywearing, quindi so bene quali possono essere i pregiudizi con cui tutte le volte dobbiamo scontrarci.
Professioniste del babywearing: 4 falsi miti!
1 – Le professioniste del babywearing devono essere mamme
A quanto pare la credenza comune è che le professioniste del babywearing debbano essere tutte mamme. Ma non è affatto così. Questa credenza discende dal fatto che, è vero che molte mamme arrivano anche a farne una professione, magari dopo aver sperimentato in prima persona i benefici del babywearing ( da mamma a consulente, scopri come), ma è pur vero che non è una caratteristica determinante.
Ci sono cose che puoi fare anche se non sei mamma, lo sa,i vero? Diventare una consulente richiede:
- empatia;
- ascolto attivo;
- passione.
Quindi basta relegare quest’attività solo ed esclusivamente alle mamme: sarebbe come dire che tutte le ostetriche o ginecologhe debbano esserlo? Ci sono “non mamme” che magari riescono ad essere ben più empatiche, ben più aperte all’ascolto, o comunque, una cosa non esclude l’altra.
2- Si formano tutte da sole
Sembra che essere autodidatta sia un limite e non è così: si tratta di un passaggio iniziale. In molte cominciano così, ma solo chi punta davvero ad acquisire la giusta dose di competenze, informazioni e forma mentis, ricorrerà ad una vera formazione ben più strutturata. La scelta come forse già sai, non manca, per tutte le tasche e le esigenze (te ne parlo anche qui): dalle scuole di formazione a professioniste che come me portano in campo il proprio bagaglio di studi e competenze per accompagnare chi desidera davvero intraprendere questa strada professionale.
Quindi, no, non ci formiamo da sole e basta, non ci formiamo solo con YouTube o i tutorial (molti preziosi, eh, sia chiaro!), ma siamo abbastanza intelligenti per capire che occorre studio e dedizione per poter svoltare (come in ogni altra attività, del resto).
3 – È poco più di un hobby
Non ci siamo proprio, non è un hobby, è un lavoro vero e proprio, e, benché al momento non ci sia ancora una vera associazione di categoria, dobbiamo essere le prime a crederci e a tutelare il nostro lavoro. Si, perché di lavoro si tratta.
Presentiamoci con fermezza e professionalità: ” sono una consulente babywearing”. Se noi per prime non impariamo a dare valore a a trasmetterlo agli altri, sarà molto difficile cambiare questa mentalità. E le cose si cambiano più facilmente dall’interno.
Strutturiamo:
- l’attività;
- la comunicazione;
- la formazione;
- i servizi.
Nulla deve essere lasciato al caso, proprio come faresti se lavorassi in ufficio o in un negozio.
4- E che ce vo’?
Siamo tutti bravi a giudicare le cose degli altri, la vita, il lavoro, ma il babywearing, come ben sai, è più del mero legare, ed è più della scelta di fascia o marsupio.
È un vero viaggio di accompagnamento alla genitorialità ( o alle figure predisposte), un viaggio che può essere meraviglioso ma anche nascondere delle insidie. Occorre avere competenze trasversali, saper capire le esigenze di chi abbiamo di fronte, ed instaurare i giusti presupposti per far proseguire questo percorso in maniera armonica.
Quindi, no, non basta saper fare due legature. Quello è solo l’inizio, la base proprio, senza contare che anche la tecnica si evolve, che le esigenze cambiano e così anche i supporti. Bisogna studiare, e tante volte anche sperimentare e trovare tu stessa soluzioni nuove.
Insomma, tocca essere proattive e sempre “sul pezzo”, sempre con un orecchio teso e l’altro pure.
I miti ai miti
Direi, quindi, che i miti restano ai miti, e che noi dobbiamo combattere questi 4, o 5 o 200 pregiudizi che ruotano ciclicamente attorno al nostro lavoro. Probabilmente è il destino delle professioni considerata “nuove” o “diverse”, rendere difficile la comprensione di tutto quello che c’è dietro.
Per questo ti esorto a pensare che il nostro lavoro siamo noi: noi decidiamo chi essere e come essere.
Non è facile, non c’è pappa pronta, c’è anzi studio e dedizione, ma ci sono anche tante soddisfazioni, mani che si incrociano, sorrisi che sbocciano, calore che trasuda emozione, contatto puro. È una fortuna poter fare quello che ami, è una fortuna poter creare in corsa la nostra attività. Cosa ne pensi? Ti è capitato d avere a che fare con questi o altri pregiudizi?
Racconta! Ti ascolto.
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